Signes…..Couleurs
di Cynthia Penna
Il segno e’ la primitiva forma di rappresentazione e di comunicazione adoperata dall’uomo; perciò fin dai primordi l’uomo ha delegato al segno l’espressione non solo della realtà che lo circonda in quanto esperienza del reale, ma anche la manifestazione delle sue emozioni, della sua interiorità, dei suoi sogni, della sua memoria.
In questo contesto si inserisce l’esperienza pittorica dei due artisti italiani Bruno Gorgone e Jorunn Monrad.
Il primo, architetto e designer, dalla originaria formazione rigorosamente scientifica degli studi di architettura, si evolve poi verso una espressione artistica di impronta intimistica che si risolve in una vera e propria progettazione emozionale dell’opera.
La seconda, di origine norvegese, vive in Italia da circa 20 anni e qui ha svolto il suo percorso formativo presso l’Accademia di Brera a Milano, orientandosi verso un’astrazione segnica e simbolica che si esplicita in una sorta di tramatura della tela attraverso vari livelli di colore.
In entrambi il segno non e’ solo puro grafismo, ma ad esso e’ intrinseco e imprescindibilmente legato il colore che e’ l’altro elemento significativo della loro espressività.
Perciò segno e colore, le due assi portanti della ricerca artistica, diventano anche il tema portante di questa mostra.
Dalle parole di Jorrun Monrad:
«I miei lavori sono radicati in un immaginario della mia infanzia : i serpenti delle incisioni lignee dell’arte vichinga e medievale norvegese, le forme che si creavano nella natura, tipo rami, nuvole, forme dei rami. Le fiabe, la natura misteriosa avrà anche fatto la sua parte. Ho anche fatto delle ricerche su fenomeni che scaturiscono dall’immaginario, si può dire biologico, in cui proprio le visioni di forme che si ripetono durante il dormiveglia, possono creare questo tipo di effetti visivi.
Da tutto ciò ho ricavato uno specie di modulo, che è una sorta di forma biomorfa, più che un animale in particolare, che è solo il mattone della struttura, ma che si moltiplica in forme vorticose e forse a volte inquietanti. L’idea è di creare una atmosfera sognante, movimentata, ma molto diversa dagli effetti op art, insomma un effetto meno sgargiante, più “naturale”». E noi non possiamo fare a meno di pensare che in queste tele si respira la stessa aria che pervade quelle del grande maestro indiano, americano di adozione, Natvar Bhavsar come Aarakh VIII e Aarakh IX del 2003.
Per Gorgone la riproduzione di soggetti vagamente biomorfi non conduce a reminiscenze oniriche infantili, ma e’ espressione di una progettualità prestata alla fantasia o viceversa: un modulo ripetuto, derivante da una progettazione, si può azzardare, quasi architettonica della “scena”, sulla quale si innesta la variabile “impazzita” dell’immaginazione resa attraverso un colore irreale e fantastico, di retaggio matissiano e di forza dirompente.
La composizione di Gorgone rimanda irrimediabilmente al segno/colore di matissiana memoria, del Matisse delle “gouaches decoupées” degli anni 1947/53, composizioni biomorfe fatte di segno e colore, ma anche a certe “invenzioni” del Balla futurista e floreale in cui vi e’ più costruzione geometrica e sperimentazione coloristica, che ricerca di movimento.
Interessante e’ sperimentare il rapporto spazio/luce nei due maestri: in entrambi lo spazio appare destrutturato e il rapporto con esso e’ decontestualizzato in termini spazio/temporali. L’opera si presenta come una sorta di trama tessile che pervade tutta la tela e pare estendersi al di fuori di questa per invadere lo spazio circostante in una espansione cosmica.
La tramatura della tela non può non ricordarci le “tessiture” di Anil Revni, artista indiano trapiantato a Whashington, le cui opere sono veri e propri merletti di colore che fanno perdere e disperdere l’occhio e la mente in un infinito meditativo.
Il susseguirsi di elementi segnici che si rincorrono all’infinito in Gorgone e si giustappongono gli uni sugli altri in Monrad, fa perdere l’abituale rapporto con lo spazio per perdersi in un groviglio di visioni che spingono la psiche in un mondo onirico e fiabesco.
In entrambi gli artisti il rapporto con l’elemento luce e’ tutto interno al colore stesso: nessuna tecnica chiaroscurale, nessun inserimento di luce proveniente dall’esterno, nessun taglio di luce giustapposto; la luce e’ data direttamente dal colore stesso; luce come derivazione diretta del colore, come “anima” del colore, luminosità intrinseca al colore che si spande e si espande insieme al segno in una sorta di vortice labirintico in cui perdersi.
Il labirinto segnico della Monrad rimanda irrimediabilmente alle tramature dei “polka dots” di Yayoi Kusama ( le sue opere Infinity Net del 1965, The Sea in Summer del 1988 e Flame del 1992 rendono il confronto), ma qui non vi e’ nulla di ossessionante; nessuna ossessione e nessuna allucinazione perseguitano l’artista ; piuttosto un dolce lasciarsi andare in un labirinto segnico ed emozionale in termini evocativi della propria storia individuale.
Ma a veder bene in entrambi gli artisti il segno non e’ solo evocativo di inconsci personali, ma piuttosto si rapporta alla ricerca interiore di propri archetipi individuali, ricerca che ciascun uomo fa della propria individualità e quindi ricerca universale che tutta l’umanità’ condivide.